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Limitazioni a proprietà del locale - Cass. sentenza n. 13620 del 30.05.2013

Secondo la sentenza in commento (Corte di Cassazione n. sentenza n. 13620 del 30.05.2013), il proprietario del locale, cui è funzionalmente collegata l'opera difettosa, non può, in ogni caso, subire limitazioni contrastanti con le facoltà connesse al diritto di proprietà del bene.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24.7.1996 la società C. s.p.a., corrente in S., conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Verona, la E. s.n.c. di D.  & C, chiedendone la condanna alla ricostruzione dell'impianto della rete fognaria, realizzato dalla convenuta stessa con gravi difetti, nel fabbricato condominiale di cui faceva parte l'immobile di proprietà di essa attrice, oltre al risarcimento dei danni.

La società convenuta, costituitasi, eccepiva la carenza di legittimazione attiva dell'attrice, l'inammissibilità dell'azione per intervenuta decadenza, ex art. 1667 c.c., e la prescrizione dell'azione. Assunta la prova testimoniale ed espletata C.T.U., con sentenza 9.5.2002, il Tribunale adito accoglieva le domande dell'attrice e condannava la società convenuta ad eseguire, a propria cura e spese, gli interventi atti ad eliminare gli inconvenienti dell'impianto fognario nonchè a rifondere alla s.p.a. C. i danni causati dal malfunzionamento dell'impianto stesso, liquidati in via equitativa, in Euro 2.558,28, oltre interessi legali.

Avverso tale sentenza la E.. trasformatasi nelle more in s.r.l., proponeva appello cui resisteva la C. s.p.a.. Con sentenza depositata il 5.2.2007 la Corte d'Appello di Venezia, in totale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda della C. s.p.a. condannandola al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

Osservava la Corte di merito che la responsabilità dell'insufficienza della vasca biologica relativa all'impianto fognario andava addebitata non già alla ditta E. che l'aveva installata "in conformità del progetto e per soddisfare le esigenze dei beni in base alla loro originaria destinazione d'uso", ma ai proprietari che avevano trasformato i negozi in pubblici esercizi senza preventivamente verificare la capacità della vasca biologica di smaltire un maggior carico di liquami. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C. s.p.a. formulando quattro motivi con i relativi quesiti, ex art. 366 bis c.p.c., illustrati da successiva memoria.

Resiste con controricorso la E. s.r.l..

Motivi della decisione

La società ricorrente deduce:

1) omessa e contraddittoria motivazione avendo la Corte di merito ritenuto che la fossa biologica fosse divenuta insufficiente a seguito della trasformazione dei tre locali adibiti a negozio in esercizi commerciali (bar-ristorazione), non considerando che, dal punto di vista catastale ed edilizio, i negozi ed i bar rientrano nell'ambito degli immobili aventi la medesima destinazione commerciale sicchè doveva escludesi il mutamento di destinazione d'uso rispetto alla previsione dell'atto di acquisto dei locali per uso negozio; la sentenza impugnata aveva, inoltre, omesso di tener conto che dalla prova testimoniale e dalla C.T.U. emergeva che la fossa biologica era stata realizzata dalla società E. in maniera tecnicamente errata, per difetto di adeguata pendenza, per mancanza dei pozzetti "decanta-grassi", per le dimensioni insufficienti ad assolvere alle funzioni previste nel progetto approvato; 2) violazione della L. n. 319 del 1976, art. 2 lett. b), d) ed e) e del provvedimento applicativo di cui alla Delib. 4 febbraio 1977 del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento, considerati i difetti suddetti della vasca biologica, come accertati dal C.T.U.; 3)violazione dell'art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la Corte d'appello posto a fondamento della decisione fatti non provati e non rientranti tra quelli di comune esperienza, con riferimento al convincimento che, ove l'immobile fosse stato adibito a negozio, non si sarebbero verificati gli inconvenienti lamentati; 4) violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. e, conseguentemente, degli artt. 115 e 116 c.p.c., in ordine al divieto di nuovi mezzi di prova nel giudizio di appello, posto che la Corte territoriale aveva fondato la riforma della sentenza di primo grado sull'ordinanza emessa dal Sindaco del Comune di S., prodotta tardivamente in quanto il provvedimento stesso era stato emesso in data 28.6.1998, ossia tra mesi prima dell'udienza del 29.9.1998, fissata per il deposito di memorie istruttorie e per prova contraria.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Il quesito di diritto correlato alla prima censura, contrariamente a quanto dedotto dalla società controricorrente, risulta formulato in maniera specifica e corretta in quanto contenente il momento di sintesi con aderenza al caso di specie.

In particolare, il ricorrente ha sottoposto all'esame della Corte il seguente quesito: "dica l'Ecc. Corte di Cassazione se la Corte d'Appello di Venezia nella sentenza impugnata sia incorsa nel vizio di contraddittoria motivazione avendo ritenuto che la fossa biologica fosse divenuta insufficiente per effetto dell'asserita trasformazione dei tre locali, cui la medesima doveva servire, da negozi in esercizi pubblici, omettendo di esaminare le risultanze istruttorie che, invece, avevano provato, attraverso prove testimoniali ed una C.T.U., che la fossa biologica, come realizzata dalla società E., era tecnicamente errata perchè realizzata senza l'adeguata pendenza e perchè priva di pozzetti decanta - grassi e palesemente insufficiente per le dimensioni ad assolvere alle funzioni previste nel progetto approvato e, conseguentemente, senza dare adeguata motivazione del proprio convincimento sulla base di tutte le risultanze istruttorie".

In relazione a tale quesito occorre stabilire se i vizi della fognatura, risultanti dalla C.T.U. (inadeguata pendenza della tubazione di scarico, scarsa capienza della vasca biologica per le tre unità commerciali ad essa collegate,mancanza di pozzetti di decantazione), possano ritenersi inidonei a configurare la  responsabilità dell'appaltatore sulla base delle argomentazioni della sentenza impugnata, laddove si afferma che "la responsabilità dell'insufficienza della vasca va addebitata non già alla ditta E. che la installò in conformità al progetto e per soddisfare le esigenze dei beni in base alla loro originaria destinazione d'uso, ma a chi ha trasformato i negozi in pubblici esercizi senza preventivamente verificare se la fognatura e, soprattutto la vasca biologica, fosse in grado di sopportare e smaltire il maggior carico di liquami".

Ritiene il Collegio che tale motivazione sia errata, dovendosi escludere l'asserito mutamento di destinazione d'uso dei locali in questione, posto che i negozi e gli esercizi commerciali rientrano nella medesima destinazione commerciale. Non sussisteva, quindi, alcun obbligo della società acquirente di adeguare l'impianto fognante a detta presunta diversa destinazione, non trattandosi, comunque, di innovazione incidente sulle originarie caratteristiche strutturali ed edilizie dell'immobile al momento dell'acquisto. Ne consegue che le concrete modalità d'uso dei locali non rilevano al fine della identificazione del nesso causale riguardante la  responsabilità per il cattivo funzionamento della fognatura, rapportata dalla Corte territoriale ad un ipotetico maggior numero di frequentatori degli esercizi commerciali rispetto agli "addetti" ai negozi, circostanza da cui sarebbe derivata l'insufficienza della vasca biologica.

La sentenza impugnata avrebbe dovuto, invece, tener conto delle carenze costruttive della fognatura, valutando la prova testimoniale ed i vizi accertati, come pure emerse dalla C.T.U. e, che, ove pregiudicanti o menomanti in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità di un'unità immobiliare, andrebbero addebitati al costruttore dell'opera stessa, potendone determinare la  responsabilità extracontrattuale,ai sensi dell'art. 1669 c.c., in quanto incidenti sull'uso cui l'immobile era originariamente e lecitamente destinato.

Sul punto la Corte di merito ha, del resto, condiviso quanto già rilevato dal giudice di prime cure sulla qualificazione dell'azione proposta dalla C. s.p.a., nel senso della sussistenza delle condizioni di legge per l'applicazione dell'art. 1669 c.c., ritenuta la gravita del pregiudizio al godimento di un immobile per "la risalita dei liquami e degli odori dal water con spandimento degli stessi sul pavimento del bagno", con il possibile verificarsi, a lungo andare, della inutilizzabilità del locale, ribadendo, inoltre, che detta società aveva agito, innanzitutto, nell'interesse condominiale, con riguardo alla domanda di sistemazione della fognatura, considerata di natura condominiale.

Va aggiunto che,il proprietario del locale, cui è funzionalmente collegata l'opera difettosa, non può, in ogni caso, subire limitazioni contrastanti con le facoltà connesse al diritto di proprietà del bene ed al maggior godimento di esso, in difetto di specifiche pattuizioni contrattuali che vietino un uso dell'immobile differente da quello consentito. Questa Corte, in materia di condominio, ha infatti, costantemente affermato il principio secondo cui, in mancanza di esplicite clausole contrattuali che impongano il rispetto dell'originaria destinazione dell'unità immobiliare, è consentito al singolo condomino destinare la proprietà esclusiva ad una differente utilizzazione allorchè il nuovo uso non si risolva in un danno per gli altri condomini (Cass. n. 256/85; n. 4677/80) ed anche con riferimento alla destinazione di un bene comune, ha ravvisato la liceità delle modificazioni realizzate dal singolo condomino al fine di rendere l'uso del bene stesso più intenso e proficuo, ai sensi dell'art. 1102 c.c. (Cass. n. 240/97; n. 11936/99, n. 12654/2006).

Alla stregua di quanto osservato il primo motivo di ricorso va accolto mentre rimangono assorbiti gli altri motivi. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di Appello di Brescia che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Brescia anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3 aprile 2013.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2013