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'istanza di definizione della controversa tributaria - presupposti

Cassazione sentenza n. 15634/2013
OMISSIS

Svolgimento del processo

La srl F. propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria centrale che, accogliendo il ricorso dell'amministrazione finanziaria, nel giudizio introdotto con l'impugnazione dell'avviso di accertamento ai fini dell'IRPEG e dell'ILOR relative all'esercizio sociale chiuso il 30 giugno 1974, notificato alla contribuente il 1 dicembre 1980, ha escluso la decadenza dell'ufficio dall'azione impositiva, dovendosi avere riguardo, come anno in cui era stata presentata la dichiarazione ai fini del computo del quinquennio fissato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, non alla prima dichiarazione, presentata nel 1974, ma alla seconda dichiarazione, che aveva "rinnovato" la prima, ed era stata presentata il 14 luglio 1975, usufruendo della proroga dei termini per la presentazione delle dichiarazioni disposto dal D.P.R. 28 marzo 1975, n. 60, art. 3.

La Commissione tributaria centrale, acquisita con ordinanza copia conforme all'originale della dichiarazione dei redditi prodotta il 14 luglio 1975, aveva infatti rilevato che essa "concerneva il periodo d'imposta 1 gennaio - 30 giugno 1974 e, come risulta inequivocabilmente dal frontespizio del mod. 760 relativo all'anno d'imposta 1974, il successivo arco temporale 1 luglio - 31 dicembre 1974", disattendendo così la tesi della contribuente, secondo la quale la dichiarazione presentata nel 1975 rifletteva il periodo d'imposta successivo al 1974.

L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con istanza depositata presso la cancelleria di questa Corte nell'agosto 2010 la ricorrente, dichiarando di volersi avvalere del beneficio previsto dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 2 bis, come convertito nella L. 22 maggio 2010, n. 73, ha chiesto che, ritenuta l'ammissibilità della definizione, la controversia sia dichiarata estinta, con la compensazione delle spese.

L'Agenzia delle entrate, con successivo atto, ha attestato l'avvenuto pagamento di quanto indicato dalla contribuente, dichiarando di non poter attestare la regolarità del versamento, non potendo stabilire il valore della controversia per non essere stata allegata dalla contribuente copia dell'avviso, relativo al 1997, e perciò non presente nell'Anagrafe tributaria, ed ha rilevato l'irregolarità dell'istanza, non ricorrendo la prescritta integrale soccombenza dell'amministrazione finanziaria, risultata vittoriosa dinanzi alla Commissione tributaria centrale, la cui sentenza n. 7559/08/2006 del 12 ottobre 2006, impugnata nel presente giudizio, è favorevole all'ufficio.

Osserva il Collegio che l'istanza di definizione della controversia tributaria deve essere respinta, non ricorrendo la prescritta condizione della soccombenza dell'Amministrazione finanziaria, in quanto "presupposto per la definizione agevolata delle liti fiscali pendenti innanzi alla Corte di cassazione prevista dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art. 3, comma 2 bis, convertito con modificazioni nella L. 22 maggio 2010, n. 73, è la soccombenza dell'Amministrazione finanziaria nei precedenti gradi di giudizio. Il riferimento normativo ai "primi due gradi di giudizio" va interpretato nel senso che occorre aver riguardo all'intera vicenda processuale, nella quale l'Ufficio tributario deve essere stato costantemente soccombente, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui il giudizio di cassazione sia stato preceduto - in applicazione del rito previgente - da tre gradi di giudizio, è necessario, ai fini dell'ammissibilità dell'istanza di definizione, che si sia verificato un triplice esito sfavorevole per l'Amministrazione atteso che la "ratio" delle norme è quella di deflazionare il contenzioso pendente da oltre 10 anni confidando sull'elevata probabilità di un esito sfavorevole in sede di legittimità" (Cass. n. 21714 del 2010).

Con il primo motivo la società contribuente, denunciando "violazione per falsa applicazione del D.P.R. n. 60 del 1975, art. 3, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3", assume che per le dichiarazioni legittimamente presentate nell'anno 1974 per i redditi dell'anno 1974, il termine fissato per l'azione accertatrice D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, nella formulazione vigente ratione temporis, decorrerebbe dalla data di presentazione della dichiarazione, e non da quella dalla "rinnovazione" della dichiarazione stessa imposta dal D.P.R. n. 60 del 1975, art. 3, all'esclusivo fine di sostituire i modelli provvisori con quelli definitivi tardivamente prodotti dall'amministrazione finanziaria.

Con il secondo motivo, denunciando "violazione dell'art. 112 c.p.c., e del principio di corrispondenza fra il chiesto e il giudicato in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3", si duole, secondo la formulazione del quesito di diritto che chiude il motivo, che "nonostante le precise "eccezioni" di essa contribuente sul punto si sarebbe verificata la mancata corrispondenza tra chiesto e giudicato, con conseguente possibilità di decisione nel merito senza rinvio e per l'effetto, in caso di risposta affermativa, se sia legittimo assoggettare a tassazione la riserva apposta per effetto della L. n. 823 del 1978, con ciò dando luogo anche ad una doppia imposizione".

Il primo motivo del ricorso è infondato, atteso che il giudice di merito ha accertato che la dichiarazione dei redditi presentata il 14 luglio 1975 concerneva effettivamente il periodo d'imposta 1 gennaio - 30 giugno 1975, in relazione al quale l'ufficio aveva tempestivamente notificato l'avviso di accertamento il 1 dicembre 1980, e quindi entro il termine, fissato a pena di decadenza dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 1, - nel testo in vigore prima della modifica recata dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 15, -, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Per i soggetti indicati al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 2, tra i quali sono compresi le società a responsabilità limitata come la contribuente, l'art. 3 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 60, introducendo un nuovo comma nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 71, aveva infatti stabilito che i termini per la presentazione delle dichiarazioni aventi scadenza entro il 14 maggio 1975 erano "prorogati" al 15 maggio 1975; successivamente il D.L. 25 giugno 1975, n. 254, art. 1, convertito nella L. 25 luglio 1975, n. 350, aveva disposto che i termini per la presentazione nell'anno 1975 delle dichiarazioni dei redditi "scaduti o aventi scadenza entro il 14 luglio 1975 sono stabiliti al 15 luglio 1975".

Di tali proroghe si è avvalso la srl F., presentando una nuova (ovvero rinnovando la presentazione della originaria) dichiarazione dei redditi, e con rifermento a tale data non può che decorrere il termine fissato agli uffici finanziari per l'accertamento.

Il secondo motivo è inammissibile in quanto privo del requisito dell'autosufficienza.

La ricorrente lamenta la violazione del principio della corrispondenza del chiesto al pronunciato, ma, al di là di un generico cenno - "Anche in sede di controricorso alla CTC, così come in tutti i precedenti gradi del giudizio, la odierna ricorrente ha sempre puntualmente eccepito l'illegittimità del recupero a tassazione operato dall'ufficio della voce di bilancio..." - nel ricorso non si da conto dei termini in cui l'eccezione sarebbe stata formulata nel controricorso, nè dei passi dell'atto che la contengono, e neppure tali passi vengono trascritti.

Secondo l'insegnamento di questa Corte, infatti, "affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un'eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall'altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell'autosufficienza, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività" (Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781; Cass. n. 5344 del 2013).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 2.500, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2013