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Massima sentenza n. 21858 del 2005

Massima sentenza n. 21858/2005 (Corte di Cassaszione)
Il sequestro preventivo penale, ex art. 321 cod. proc. pen., di quote o azioni di una società di capitali, in difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento che lo dispone, priva i soci dei diritti relativi alle quote o azioni sequestrate, sicchè il diritto di intervento e di voto nelle assemblee, anche in ordine all'eventuale nomina e revoca degli amministratori, spetta al custode designato in sede penale: ponendosi quello ora indicato come un effetto naturale della misura cautelare in questione, in rapporto alla sua funzione tipica di evitare che la "libera disponibilità" di una cosa pertinente al reato - e, dunque, nel caso delle azioni o quote sociali, l'esercizio dei diritti e delle facoltà ad esse inerenti, tra cui, anzitutto, i cosiddetti diritti amministrativi (o corporativi) del socio - possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato medesimo, oppure agevolare la commissione di altri reati. L'attribuzione al custode del diritto di voto implica che soltanto a costui sia altresì riservata la legittimazione ad impugnare le deliberazioni assembleari al fine di ottenerne l'annullamento ai sensi dell'art. 2377 cod. civ., stante la strumentalità del diritto di impugnazione rispetto a quello di voto, quale esplicazione del medesimo inscindibile potere che si esprime nel concorrere alla formazione della volontà assembleare e nel reagire alle eventuali manifestazioni illegittime di detta volontà. Tale conclusione palesemente non si pone in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., con gli artt. 6 e 17 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e con l'art. II-107 del Trattato che adotta la Costituzione europea, sotto il profilo della lesione del diritto di difesa, sia perchè il sequestro penale preventivo è posto a garanzia di interessi generali costituzionalmente rilevanti, sì che la temporanea compressione dei diritti del socio da esso derivante corrisponde ad una disciplina che contempera gli opposti interessi dell'indagato e dello Stato all'attuazione della pretesa punitiva; sia perchè il diritto di difesa del socio è assicurato su un piano diverso, con la possibilità di impugnare davanti al giudice penale, in sede riesame o di appello, il provvedimento cautelare o di chiedere al medesimo giudice la revisione della portata del sequestro - destinato comunque a perdere efficacia nel caso di sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere (art. 323 cod. proc. pen.) - nonchè con la possibilità di agire per far valere l'eventuale responsabilità del custode giudiziario, ove questi abbia male esercitato i poteri-doveri di gestione della partecipazione sociale sequestrata, ed ancora con la legittimazione a reagire direttamente contro le deliberazioni societarie non semplicemente annullabili, ma nulle o giuridicamente inesistenti (e come tali impugnabili da qualunque interessato), ove lesive di un proprio interesse.